Storia delle fortificazioni
L'architettura di transizione
Il succedersi di nuovi detentori del potere politico nel Mezzogiorno, a partire dal 1442, precede di poco una fase quanto mai intensa e decisiva per il rinnovamento ed il potenziamento dell'architettura militare del territorio del Regno di Napoli, perfettamente in linea con la generale tendenza che si manifesterà lungo tutta la penisola, meglio nota come “Transizione”. Tale fase segna il passaggio dalle ormai superate fortificazioni medievali, superamento sentenziato dall'incalzante progresso delle artiglierie, a nuove fortificazioni in grado di fornire una protezione adeguata. L'iniziale fase di
applicazione in campo militare, con la prima serie di artiglierie, le cosiddette “bombarde”, sparanti proietti sferici in pietra, durò piuttosto a lungo. Essa determinò un ricondizionamento delle difese medievali, che divenivano di fatto vulnerabili a questo nuovo tipo di offesa, soprattutto nelle parti più fragili di cui si componeva la fortificazione cioè le merlature, oltre che per l'altezza eccessiva delle torri e l'esiguo spessore delle cortine murarie. Inoltre apparve subito abbastanza scontato che una superficie curvilinea offriva una area d'incidenza minore all'impatto del proiettile rispetto
ad una superficie piana. Si scoprì inoltre che l'efficacia della soluzione era ancora maggiore se ad essa si associava la scelta di inclinare verso l'esterno la parte inferiore delle torri, a scarpa, peraltro già in uso. Ciò avrebbe consentito una più alta probabilità di deviare i proiettili che sarebbero stati indirizzati verso quella parte dell'opera difensiva. La parete scarpata acquisiva la nuova funzione di rafforzare staticamente la torre stessa, che cominciava ad ospitare in sommità bombarde per il fuoco difensivo, consentendo di scaricare al suolo più efficacemente le sollecitazioni impresse alle murature durante lo sparo delle pesanti artiglierie. A tali soluzioni, si associò l'ovvia precauzione di aumentare considerevolmente lo spessore delle murature delle torri, fino ad arrivare, alla fine del XV secolo, alla tecnica del riempimento totale (è il caso, ad esempio, delle torri della murazione aragonese di Napoli). Infine, la contrazione in altezza delle torri, adottata per ridurne la visibilità alla vista dell'assediante, valse come regola generalizzata anche per i vecchi manufatti, cimati se non addirittura, quando comunque non si riusciva a recuperare un adeguato rapporto altezza – diametro, demoliti.
Se in ogni caso era possibile un adeguamento dei capisaldi dell'impianto difensivo era per contro impossibile applicare lo stesso principio della superficie curvilinea alle cortine di collegamento tra una torre e l'altra. Contemporaneamente però, con l'introduzione delle armi da fuoco di piccolo e medio calibro lungo gli spalti delle
cortine difensive stesse oltre che in piattaforma alla sommità delle torri, si assistette ad un evoluzione del principio di difesa ravvicinata che passò da quello ormai superato, "piombante", a quello cosiddetto “radente” reso possibile proprio dal tiro delle artiglierie difensive. Quest'ultime posizionate oltre che in sommità, anche ad ordini d'altezza inferiori, erano in grado con il loro tiro di “radere” letteralmente lo spazio antistante la fortificazione. Al tiro radente si associava quello ben più micidiale di fiancheggiamento esercitato da aperture praticate nei fianchi delle torri, in grado di consentire di bersagliare schiere intere di attaccanti sul fianco. Nonostante la presenza aragonese sia di breve durata, rimanendo circoscritta a sessanta anni appena, essa è contraddistinta, soprattutto nella sua ultima fase e cioè a partire dal 1480, da una massiccia opera di fortificazione, particolarmente ad opera del Duca di Calabria. La risposta allo smacco di Otranto sarà rappresentata da un grandioso programma di nuove piazzeforti in prevalenza marittime: Taranto, Brindisi, Otranto, Gallipoli, in cui saranno applicati i concetti del senese Francesco di Giorgio Martini e della sua scuola. Tutti gli elementi dell'architettura militare di transizione si leggono perfettamente nella murazione aragonese eretta a Napoli sul lato orientale negli ultimi decenni del secolo XV: essa costituisce una sorta di evoluzione estrema, un canto del cigno, di quel tipo di approccio al problema della difesa. A dispetto delle pesanti corazze lapidee di cui le torri saranno dotate, la fortificazione rappresenterà un immediato palese anacronismo di fronte alle moderne artiglierie di Carlo VIII. Le trasformazioni relative al periodo aragonese di strutture difensive preesistenti sono tra quelle più diffuse e meglio conservate sul territorio. Sia direttamente sulla costa, si vedano Agropoli, Rocca Cilento, Castellabate, che all’interno, come è il caso delle poderose fortezze di Teggiano (SA) e Ariano Irpino (AV).