Narrano i "diurnali" dell'epoca che la regina\n aveva fatto costruire un lungo ponte in mare che consentì al Papa, ed al suo\n seguito, di giungere direttamente dalle loro galere all'Arco del Castello,\n splendidamente ornato di drappi e stendardi e sotto il quale lo attendeva\n l'intera corte napoletana. Seduto sul trono, ben visibile a tutti, Clemente VII\n ricevette il bacio sul piede da parte della Regina, del suo quarto marito\n Ottone di Brunswick e degli altri membri della famiglia reale, fra i quali\n Roberto d'Artois, la consorte Giovanna, duchessa di Durazzo, e Margherita di\n Durazzo (che sarebbe diventata, di lì a poco, sovrana di Napoli).
Per giorni la delegazione dell'antipapa fu ospite presso il\n Castello, dove si tennero sontuosi banchetti e ricevimenti in suo onore, mentre\n il popolo insorgeva contro "lo Papa de Carnevale": è con questa\n scelta che la grande regina, dopo 39 anni di regno, segna la sua fine, offrendo\n un alibi al cugino Carlo di Durazzo per farsi nominare re dal papa Urbano VI.
(Scheda di A. Fresca, Foto tratte dal Quaderno dell'IIC sul\n Castel dell'Ovo)
Per i lavori di consolidamento e di abbellimento del\n Castello, incaricò Niccolò Pisano, che si stava occupando anche di Castel Capuano: lo scultore-architetto si era probabilmente formato alla raffinata\n scuola dei maestri lapicidi pugliesi, ed è ricordato nella Storia dell'Arte per\n la mirabile esecuzione del pulpito del battistero della cattedrale di Pisa, da\n cui il soprannome, oltre che per quello del Duomo di Siena. All'epoca, il\n Castel dell'Ovo doveva avere almeno quattro torri: la torre Normandia -unica\n superstite- a Sud, la Torre di Colleville a Nord, quella "di Mezzo"\n sul versante orientale e quella Maestra ad Ovest.Nel 1218 convocò a Castel dell'Ovo il Parlamento Generale,\n con l'intervento dei Baroni, dei feudatari e dei pretori della città di Napoli.\n Fu in tale importante seduta che stabilì il sistema fiscale del Regno, basato\n sulle reali possibilità di ciascun cittadino. Quando nel 1222 fu Incoronato imperatore dal Papa Onorio III\n a Roma, tornò subito a Napoli per le opere di fortificazione del Castello dove\n custodiva, come i suoi predecessori ed i suoi successori, il tesoro regio,\n forse nella sala ipostila.
\n \n \n \nNel 1237 l'imperatore ordinò che vi fossero predisposti gli\n appartamenti dell'imperatrice, che all'epoca era la sua sesta moglie,\n Elisabetta d'Inghilterra.
Ma non poteva immaginare, lo "Stupor Mundi", che proprio in questo castello sarebbero stati imprigionati i suoi discendenti... E a Napoli si conserva ancora il suo sigillo in cera presso l'Archivio di Stato, riprodotto nel logo dell'università Federico II da lui fondata il 5 giugno 1224, prima università laica d'Italia.
Di nobile famiglia di origine amalfitana, trasferitasi a\n Napoli in epoca angioina, la giovane risiedeva con i genitori Nicola e Covella Toraldo, ed i suoi 6 fratelli, nello splendido Palazzo Como, nella zona della\n Sellaria. Era la vigilia del giorno di San Giovanni del 1447 o forse\n del 1448, quando la diciottenne, seguendo la tradizione delle nubili napoletane\n dell'epoca, si avvicinò a re Alfonso, che usciva dal Castelnuovo. Come\n prescriveva la tradizione, richiese un'offerta per far germogliare i semi\n d'orzo contenuti nel vaso che recava in mano, ed il maturo re\n cinquantaquattrenne le donò un intero sacchetto di monete con la sua effigie:\n lei, prendendo una moneta, gli rispose che le bastava un solo
Enea Silvio Piccolomini, futuro Papa Pio II, racconta\n l'assoluta dedizione del sovrano Aragonese alla giovane Napoletana, e descrive\n la visita di Lucrezia al Papa Callisto III, da questi ricevuta come una sovrana\n per ben due ore, probabilmente per chiedergli di sciogliere il vincolo\n matrimoniale di Alfonso e consentirle di sposarlo. Ma non vi riuscì.Alfonso, e fu\n quell'attimo a cambiare la loro vita. Fu per lei, Regina senza corona, che il Alfonso non fece mai\n più ritorno nei suoi possedimenti iberici e non rivide mai più la consorte, la\n regina Maria di Castiglia. A Torre Ottavia (Torre del Greco), nei possedimenti\n di lei, a Capua, a Pozzuoli, nel castello di Baia e in quello di Ischia, che le\n aveva donato, condivise con la giovane aristocratica l'ultimo decennio della\n sua vita, con grandi benefici sociali e patrimoniali per i sei fratelli di lei,\n oltre alla nomina ad arcivescovo di Napoli per il cugino Rinaldo Piscicello.Per lei Alfonso fece abbattere, con grandi proteste, il\n seggio del Popolo, che ostacolava la visuale da palazzo Como.
A Castel dell'Ovo il Magnanimo organizzò per lei banchetti e\n feste, trascorrendo nel palazzo e nei meravigliosi nuovi loggiati affacciati\n sul mare, realizzati dagli architetti aragonesi, le ore più felici della sua\n vita.
Fra i primi aristocratici romani a scegliere i promontori\n delle coste campane come luogo di delizie -fra gli altri, Caio Giulio Cesare a Baia, Publio Vedio Pollione a
si trasferì nella grande proprietà che includeva il\n promontorio di Monte Echia e l'isolotto di Megaride. Qui, sui resti dell'antica\n Palepolis, creò un'immensa Villa d'ozio, che nei secoli successivi fu\n fortificata e denominata castrum lucullanum.Posillipo, i Pisoni ad Ercolano, Publio Servilio\n Vatio a Torregaveta-,
Vi volle residenze, orti, terrazzamenti, alberi di pesco e\n di ciliegio, importati per la prima volta in Italia dai territori orientali,\n allevamenti di pesci prelibati e di specie avicole rare, il tutto affacciato\n sul mare.
E suscitò scalpore la sua decisione di creare una cesura nel\n tufo dell'altura, che verosimilmente era quella del canalone che separava le\n pendici della collina del Vomero da Monte Echia: in altre parole,\n l'allargamento dell'attuale via Chiaia. Questo costosissimo intervento\n ingegneristico forse gli consentì di far affluire le acque marine, per i suoi\n allevamenti di pesci, nelle grotte di tufo dove adesso ha sede il cinema\n Metropolitan.
Ma è il trattamento esclusivo che offriva agli ospiti più\n illustri, come Cicerone e Pompeo, ad averlo reso universalmente celebre: a\n certe personalità erano riservati convivi e prelibatezze ispirati ai fasti\n orientali, di cui potevano godere "in Apollo", cioè in una splendida\n sala, dedicata al dio della bellezza per antonomasia. E le ultime\n vestigia della villa di Lucullo, vir excellens, sono ancora al castel dell'Ovo:\n ad essa appartenevano le colonne della Chiesa del Salvatore, e, presumibilmente, quelle della Sala delle Colonne.
La prima volta che si incontrarono lo accolse da guerriera,\n in armatura, alle porte della città: lui le pose sul cimiero una corona ornata\n di gemme e lei, principessa di Taranto e contessa di Lecce, gli consegnò un\n catino d’oro con le chiavi della città. Maria d’Enghien aveva accettato di\n diventare la terza moglie del re Ladislao di Durazzo quando questi aveva cinto\n Taranto d’assedio.Già madre di quattro figli e vedova di Raimondo del Balzo Orsini,\n non si era curata della cattiva sorte toccata alle prime due mogli del re:
Costanza di Chiaromonte ripudiata, Maria di Cipro morta in circostanze\n misteriose. Quando un suo fedelissimo le fece notare che sarebbe stato molto\n rischioso mettersi nelle mani di Ladislao, ella rispose “nun me ne curo, ché se\n moro, moro regina”. Ma il re non la trattò mai da sovrana, e nella reggia di\n Castelnuovo lasciava alloggiare anche due delle sue amanti, la Contessella e Margherita di Marzano,\n mentre la favorita, Maria Guindazzo, sembra che risiedesse a Castel dell’Ovo. E\n fu qui che, dopo la morte di Ladislao nel 1414, la sorella di lui Giovanna II,\n si preoccupò di far recludere Maria d’Enghien per escluderla dal trono. Ma\n questa sopravvisse anche a Giovanna e, tornata nei suoi feudi, poté assistere\n all’ascesa dei suoi discendenti: suo figlio, il Principe di Taranto Giovanni\n Antonio del Balzo Orsini, fu Gran Connestabile del Regno di Napoli per volere\n del nuovo re Alfonso D’Aragona, mentre sua nipote Isabella di Chiaromonte,\n figlia di sua figlia Caterina, andò in sposa a Ferrante, divenendo a sua volta\n sovrana e madre di re.
(Scheda e foto di A. Fresca)
Arrivò dal mare, come la sirena Partenope, o forse come la\n principessa calcidese omonima di quest'ultima, o come altre sante, come\n Restituta o Marta, giunte sulle sponde del Mediterraneo occidentale su piccole\n imbarcazioni dalle coste africane o vicinorientali. Riproponendo in chiave bizantina le vicende dell'antica\n figura mitologica, la principessa Patrizia approda a causa di una tempesta\n sull'isolotto di Megaride e vi resta, ma con un ruolo completamente nuovo, non\n più insidiosa tentatrice legata al mondo degli inferi, ma
E sarebbe sbarcata proprio qui, ai piedi dell'antico Castrum\n Lucullanum dove già i padri Basiliani, rifugiati dalla Pannonia, avevano creato\n un cenobio. In questi antri scavati nel tufo, ancora oggi denominati Romitori\n di Santa Patrizia, visse fino alla morte prematura, sopravvenuta a soli 21\n anni: fu sepolta sulla collina di Caponapoli, nel monastero intitolato ai Santi\n Nicandro e Marciano, che da lei prese il nome di Monastero di Santa Patrizia, e\n che oggi ospita il Dipartimento e lo storico Museo di Anatomia Umana\n dell'università Luigi Vanvitelli. Le spoglie della Santa furono poi traslate nel 1864 nella\n chiesa di San Gregorio Armeno, dove, ogni martedì ed il 25 agosto, avviene il\n prodigio della liquefazione del sangue, scaturito da un dente e raccolto in\n un'ampolla molto tempo dopo la sua morte. La Santa è compatrona della città di Napoli dal 1625.cristiana e caritatevole\n benefattrice. Discendente dall'imperatore Costantino e nata a\n Costantinopoli nel VII secolo, giunge a Napoli dopo aver ottenuto\n l'autorizzazione del Papa a fondare un ordine monastico, contravvenendo alla\n volontà della sua famiglia aristocratica e donando le sue ricchezze ai\n bisognosi.
(Scheda e foto di A. Fresca)
Con l'avvento del viceregno spagnolo, il Castel dell'Ovo non\n fu più dimora reale, ma un forte e luogo di prigionia.
Nato a Stilo in Calabria il 5 settembre 1568, Giovan\n Domenico Campanella, poi frate domenicano Tommaso, fu personalità eccelsa dell'ultimo Rinascimento, dal sapere multiforme: filosofo, teologo, poeta,\n studioso della natura, di magia e astrologia, per le sue idee fu perseguito sia\n dalle autorità laiche che da quelle ecclesiastiche. Imputato di sedizione ed\n eresia, subì cinque processi, per i quali fu sottoposto anche ad atroci torture\n e, infine, dichiarato folle. "...è chiaro che tutto il genere umano, non solo questo\n o quell'individuo, è tenuto a dedicarsi alle scienze. Infatti Dio creò l'uomo,\n affinché lo conoscesse, e conoscendolo lo amasse, e amandolo ne godesse; per\n questa ragione l'uomo è stato creato razionale e dotato di sensi. Invece\n l'uomo, se è vero che la ragione è fatta per le scienze, qualora non\n utilizzasse questo dono di Dio secondo il progetto divino, agirebbe contro\n l'ordine naturale di Dio – come suole notare Crisostomo – quasi non volesse\n usare i piedi per camminare.“Dei ventisette anni totali di detenzione nei castelli di\n Napoli, nel corso dei quali non smise mai di scrivere, per sei anni, dal 1608\n al 1614, fu rinchiuso a Castel dell'Ovo. Durante la sua prigionia, fra le altre opere, scrisse nel\n 1616 la sua coraggiosa "Apologia di Galileo":
Graziato per intercessione del Papa Urbano VIII, di cui\n divenne consigliere per cinque anni, morì poi a Parigi, protetto da Luigi XIII\n e dal Cardinale Richelieu, il 21 maggio del 1639.
Nelle foto, una delle finestre della Domus Captivorum con i\n fori delle grate rimosse, le cosiddette Carceri della Regina Giovanna ed una\n panoramica del castello.
(Scheda e foto di A. Fresca)
"Donna fra tutte le altre elettissima di religione, di\n bellezza, di lettere e di nobiltà" (Giovio)
"Donna saggia, leggiadra, anzi divina" (Gambara)
"Onore del suo sesso e del nostro secolo" (Bembo)
Era il 27 dicembre 1509 quando Vittoria Colonna e Fernando\n Francesco D'Avalos si sposarono nella cattedrale dell'Assunta, nel comprensorio\n del castello di Ischia. Discendenti da due grandi famiglie da sempre fedeli\n alla corona spagnola, erano stati promessi sin da bambini per volere di\n Ferrante II d'Aragona. Il suo successore Federico I, ultimo re Aragonese di\n Napoli, aveva lasciato a Costanza D'Avalos, principessa di Francavilla, il\n comando del castello di Ischia, ultimo
Sconvolta dal dolore, dispose il trasferimento delle sue\n spoglie nella chiesa di San Domenico Maggiore, nel luogo dove riposano tuttora\n i più alti dignitari della Corte Aragonese. Forse fu l'imperatore a donare alla\n famiglia d'Avalos, per esprimere la sua gratitudine, i sette magnifici arazzi\n fiamminghi con le scene della battaglia di Pavia, straordinarie testimonianze\n storiche che si possono ammirare ancora oggi al Museo di Capodimonte.baluardo di resistenza alla conquista\n francese. Principessa guerriera, raffinata letterata, Costanza\n D'Avalos educò insieme i due fanciulli: Ferrante, figlio del fratello defunto\n Alfonso, e nato proprio in quel castello, e Vittoria. Figlia del grande\n condottiero Fabrizio Colonna, il suo destino era chiaro: figlia di un\n condottiero, amico fidato del re aragonese, sorella di un futuro condottiero,\n Ascanio Colonna, sposa di un condottiero. Una nobildonna del suo lignaggio\n doveva restare comprimaria, in attesa del marito. Ma la sua storia prese una\n piega diversa. Dopo la battaglia cruciale di Pavia nel 1525, la\n straordinaria battaglia che determinò la vittoria definitiva della Spagna sui\n Francesi in cui fu fatto prigioniero persino Francesco I, Ferrante si ammalò\n così gravemente di tisi da morirne di lì a poco, a Milano. Vittoria, legatissima\n al marito, non riuscì a raggiungerlo in tempo e apprese della notizia quando\n era ancora solo a Viterbo.
Sola e priva di discendenza, a trentacinque anni Vittoria\n vide cambiare la sua esistenza, esprimendo la vena poetica alla quale fino a\n quel momento non aveva dato ascolto, perché il dolore trovava uno sbocco\n naturale nella composizione dei sonetti petrarcheschi che l'avrebbero resa\n celebre:
"Dal vivo fonte del mio pianto eterno
con maggior vena largo rivo insorge
quando lieta stagion d'intorno scorge l'alma,
che dentro ha un\n lacrimoso verno;
quando più luminoso il ciel discerno
ricca la terra, e adorno il mondo porge
le sue vaghezze, il cor miser s'accorge che 'l bel di fuor\n raddoppia il duol interno."
Ammirata dai più grandi letterati dell'epoca fra cui Jacopo\n Sannazaro, Paolo Giovio, Bernardo Tasso, Baldassarre Castiglione, Pietro Bembo,\n Galeazzo di Tarsi, Pietro Aretino, Ludovico Ariosto, mise a frutto gli\n insegnamenti che Costanza D'Avalos le aveva trasmesso. Donna rinascimentale a\n tutto tondo, impegnata costantemente in questioni politiche che riguardavano la\n sua famiglia e i rapporti con il papato, perorando con convinzione e coraggio\n una riforma della chiesa –e rischiando l'accusa di eresia-, viaggiando spesso\n divisa fra impegni sociali e familiari, ritiri spirituali in convento e\n l'amministrazione dei vari feudi ereditati dal marito. Poi, dopo il 1536, incontrò Michelangelo ("Unico\n maestro Michelangelo et mio singularissimo amico"), con il quale nacque un\n rapporto specialissimo di riflessioni su fede e filosofia, scambi di\n composizioni poetiche e disquisizioni sull'arte, forse amore platonico, ma\n sicuramente un rapporto di rara intesa.
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E forse dobbiamo ravvisare un suo ritratto -oltre a quelli\n che le fecero il Pontorno, il Veronese e Sebastiano del Piombo-, fra le figure\n dei beati che Michelangelo dipinse nel suo sublime Giudizio Universale della\n Cappella Sistina.
(Scheda e foto di A. Fresca)
Nel luogo dove fu celebrata, probabilmente dai primi coloni\n Rodii, la sirena Partenope e, in epoca del ducato bizantino, Santa Patrizia, nei secoli scorsi avveniva una festa in onore della santa siracusana Lucia,\n anch'ella proveniente dal mare, vergine e martire. Venerata dai monaci\n superstiti del castrum lucullanum nella nella\n chiesa omonima un tempo affacciata sul mare, alla santa era dedicata una\n processione: il suo busto argenteo -oggi custodito nel duomo di Napoli- il 13 dicembre, il giorno ritenuto dalla tradizione popolare quello con il minor\n numero di ore di luce dell'anno, era portato sulle terrazze sommitali del\n castello, da lì fatto affacciare sul golfo, come a benedire la città.
Il percorso proseguiva salendo sul Monte Echia, il\n promontorio vulcanico sede dell'antica Palepolis, per poi essere esposto nella chiesa. La processione, così come la festa odierna, era caratterizzata\n dall'esplosione di fuochi d'artificio dedicati alla divinità portatrice di\n luce, probabile reinterpretazione delle antiche lampadodromie, le gare di corsa\n dei portatori di fiaccole in onore della sirena Partenope, incentivate nel V\n secolo a.C., quando fu fondata Neapolis verosimilmente ad opera degli stessi\n siracusani, che erano stati alleati dei cumani contro gli etruschi nella\n battaglia cruciale del 474 a.C..chiesa omonima un tempo affacciata sul\n mare, alla santa era dedicata una processione: il suo busto argenteo -oggi\n custodito nel duomo di Napoli- il 13 dicembre, il giorno ritenuto dalla\n tradizione popolare quello con il minor numero di ore di luce dell'anno, era\n portato sulle terrazze sommitali del castello, da lì fatto affacciare sul\n golfo, come a benedire la città.
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La Santa siracusana, che nella sua città di origine si era\n forse sovrapposta alla figura dell'Artemide portatrice di luce, qui\n sull'isolotto di Megaride e sull'altura dell'antica Palepoli, ricalca il ruolo della mitica fondatrice\n della città e incamera nel culto cristiano-bizantino usanze e miti pagani.
(Scheda e foto di A. Fresca)